Con il Concilio di Trento le pitture e le sculture di destinazione ecclesiastica rientrarono in una vasta e articolata progettualità da parte della Chiesa, che a tal fine vincolò gli artefici al rispetto di determinate regole. Infatti, come recitava l’Instructionum fabricae et supellectilis ecclesiasticae di san Carlo Borromeo, agli inosservanti veniva “comminata una grave pena o multa ai pittori e agli scultori perché non si allontanino […] dalle regole prescritte. Così pure è stata stabilita una sanzione per i Rettori ecclesiastici, qualora permettano che nella loro chiesa sia raffigurata o collocata un immagine insolita, e contraria alle disposizioni del decreto Tridentino”.
Con fermezza si voleva procedere a una sorta di “rievangelizzazione” delle province, “dove spesso era ancora viva una religiosità di tipo magico e animistico, particolarmente forte nelle comunità più periferiche e rurali”. La “catechesi popolare”, la Biblia pauperum, doveva avvenire tramite le immagini, veicolo più immediato per diffondere tra le masse i messaggi dell’ortodossia cattolica.
Tra i vescovi ugentini che parteciparono al Concilio ricordiamo Antonio Sebastiani Minturno (1559-1565) e Desiderio Mazzapica (1566-1593), i quali probabilmente introdussero i dettami tridentini nella diocesi.
Succedeva così che sul calare del Cinquecento alle locali arti figurative pregne della rigida eredità bizantina, s’introdusse un nuovo repertorio iconografico in linea con gli intenti dottrinali sul decoro delle immagini sacre: “tutta la rappresentazione delle immagini sacre sia conforme alla dignità e santità dei modelli, in modo adeguato e decoroso, nella postura dei corpi e nell’abbigliamento” .
Le commissioni per la maggior dei casi venivano dal clero ma parte attiva ebbero soprattutto gli ordini monastici di antica costituzione come i francescani e i domenicani, quanto i nuovi costituitisi a ridosso del concilio, come i teatini e gesuiti, che fondarono numerosi conventi.
Nel Salento in questo periodo operano i pittori Gian Pietro Zullo e Andrea Cunavi di Mesagne, Gian Domenico Catalano di Gallipoli e Donato Antonio D’Orlando di Nardò che rappresentano gli esponenti principali della pittura controriformata in Puglia. Il notevole numero delle loro opere ancora esistenti, soprattutto quelle del D’Orlando e Catalano e dei loro modesti seguaci, ci fa comprendere come la committenza, soprattutto quella ecclesiastica, era intenta nella nuova organizzazione imposta dalla Chiesa cattolica. La costruzione o il rifacimento ex novo di chiese, infatti, comportò una notevole richiesta di arredi, abiti, sculture e dipinti, e dove l’impegno di spesa era ridotto, si ricorreva ad artisti locali purché garantissero l’immagine devozionale. Le loro raffigurazioni artistiche, oltre ad arricchire le chiese e gli altari, hanno potuto così comunicare le nuove devozioni tridentine negli occhi della gente.
A Ugento troviamo il convento delle Benedettine, che nella “geografia monastica femminile rappresenta la comunità più meridionale della provincia otrantina”. Le religiose per adornare il loro luogo di preghiera commissionarono dipinti al neretino Donato Antonio D’Orlando (1560 ca. – 1636): nel 1616 realizzò il grande dipinto di San Benedetto e santi [cfr. Scheda 5], mentre nel 1618 quello delle Sante Maria Maddalena e Francesca Romana [cfr. Scheda 6] e probabilmente anche nello stesso periodo quello della Visita di Maria ad Elisabetta [cfr. Scheda 7], produzione ultima che si conosce di questo pittore. Nel territorio della Diocesi di Ugento – S. Maria di Leuca, oltre il noto San Vincenzo della chiesa matrice di Miggiano del 1616, si può attribuire a questo pittore: il San Carlo Borromeo della chiesa dell’Assunta di Alessano; la Pietà con san Francesco d’Assisi della chiesa dei Cappuccini di Tricase6; il San Francesco da Paola (fig. 1) e la Madonna del Soccorso (fig. 2) nell’ex convento dei Paolotti di Gagliano del Capo.
Nella chiesa delle Benedettine vi era un altro dipinto assai interessante, la Madonna col Bambino e Sant’Anna, databile agli inizi del Seicento [cfr. scheda 4], attribuito, in questo catalogo con le dovute riserve a causa delle numerose ridipinture, al pittore gallipolino Gian Domenico Catalano (1560 ca. – 1627 ca.). Questo pittore è assai presente nella diocesi con notevoli opere: l’autografo Martirio di Sant’Andrea apostolo della chiesa matrice di Presicce; l’Annunciazione della chiesa matrice di Specchia, la Madonna del Rosario, di recente restaurata, nella chiesa matrice di Gagliano del Capo. A queste va aggiunta una Madonna del Rosario(fig. 3) nella chiesa matrice di Giuliano .Vicino ai modi compositivi del Catalano è la Madonna del Rosario (fig. 4) della cattedrale di Ugento, probabilmente prodotto di bottega o da parte di un imitatore per via della rigidità nel disegno e nell’esecuzione pittorica.
La cattedrale ugentina conserva una bella tela di Sant’Andrea Apostolo e santa Caterina d’Alessandria (fig. 5) dei primi decenni del Seicento, che gli studiosi sono concordi ad assegnarla al pittore Paolo Finoglia (1590 -1645). Secondo Lucio Galante, questo dipinto “nel quale il modello fisionomico della S. Caterina è lo stesso dei due dipinti della chiesa del Gesù e della S. Orsola della chiesa del Carmine a Lecce, sembra collocarsi cronologicamente in un momento più avanzato, per una certa accentuazione dei contrasti di luce e ombra e soprattutto per una diversa funzione della luce non più solo rivolta a rendere gli effetti materici delle stoffe ma ad esaltarne le qualità cromatiche, in ciò avvicinandosi di più alla S. Orsola. Il tono espressivo dei due santi, privi di sottolineature sentimentali e patetiche, è ancora lontano dai cedimenti ben più evidenti nelle tele del Gesù”. Allo stesso pittore, per l’espressività del volto e i chiaroscuri, si può attribuire la piccola tela di San Pietro sovrastante la grande tela citata.
Nella diocesi, come ha rilevato il Galante nella visita pastorale di mons. De Rossi del 1711, il dipinto più antico di questo pittore, datato 1616, era conservato nella chiesa matrice di Supersano10. A Tricase, nella chiesa di Santa Maria della Serra, campeggiava fino a pochissimo tempo addietro, l’ampio dipinto dell’Assunta e santi, attualmente conservato nella chiesa matrice per preservarlo da eventuali furti.
Da quanto è emerso di recente, a Ugento era probabilmente conservata una tela, in un’ubicazione sconosciuta11, raffigurante un’interessante figura femminile (fig. 6), attribuita da chi scrive al seicentesco pittore Giovanni Andrea Coppola (1597-1659) da Gallipoli, opera di cui sembrerebbe si siano perse le tracce. Presente con le grandi e splendide opere nelle cattedrali di Gallipoli e Lecce, anche nel nostro territorio diocesano troviamo suoi dipinti come l’Immacolata e Sant’Oronzo nella chiesa di Sant’Angelo di Tricase.
Animato da forti contrasti chiaroscurali, è il dipinto della Madonna col Bambino e i santi Rocco, Giuseppe e Oronzo (fig. 7) della cattedrale di Ugento, dove troviamo, oltre la particolare accentuazione luminosa, nella fattezza dei volti – soprattutto in quello della Vergine e del Bambino – la conferma dei modi espressivi del pittore Aniello Letizia (1669 ca.-1762).Artista di formazione napoletana, il Letizia si può considerare come la personalità di spicco della pittura devozionale barocca tra il Sei-Settecento nel Salento.
Nel Santuario di Leuca sono documentati ben sei dipinti del Letizia. Nel 1743 il Vescovo di Alessano mons. Luigi D’Alessandro rileva nella Santuario sei altari così dedicati: alla Santissima Annunciazione della Vergine Maria; a San Giovanni Battista; a Sant’Antonio di Padova; a San Giovanni Evangelista; all’Ascensione di Cristo e allo Spirito Santo e aggiungerà che “quorum sex Altarium icones sunt opus pennicilli excellentis Pictoris Agnelli Letitia Alexanensis à schola Lucae Jordani”. Di queste opere sono giunte sino a noi l’Annunciazione della Vergine, Sant’Antonio di Padova e il Martirio di San Giovanni Evangelista. Le opere di Leuca potrebbero essere state realizzate verso il 1735 quando il Vescovo Mons. Giovanni Giannelli scriverà che la chiesa è dotata di sette altari “in omni sui parte est completa, et ornata, novis additionis sex iconis in Altaribus ab insigni huius Partis Artifice depictis” : dunque probabilmente i “nuovi” sei dipinti sono stati commissionati al Letizia dallo stesso prelato o comunque all’epoca del suo episcopato. Nella stessa chiesa, per le evidenti analogie con gli altri, è da attribuire al Letizia il dipinto della Nascita della Vergine.
A Gemini, nella chiesa matrice, è da attribuirgli la Madonna del Carmine e santi, dove sono presenti le testine alate trasfigurate e gli angeli della Natività della Vergine di Leuca; lo stesso angelo adulto – con il braccio alzato verso l’alto – del dipinto di Ugento; il volto del Bambino simile a quello di Sant’Antonio di Leuca. La tela della Vergine de finibus terrae e santi Giuseppe e Vito della chiesa matrice di Alessano, ma proveniente dalla precedente cattedrale, è caratterizzata da uno sfondo scuro, dove emergono con bagliori improvvisi i volti dei soggetti ritratti.
Al pittore Oronzo Letizia (1657-1733 ca.)19 da Alessano, cugino di Aniello Letizia, a Ugento si possono attribuire la Madonna delle Grazie e i santi Celestino V e Benedetto [cfr. Scheda 10], proveniente dalla chiesa della Madonna delle Grazie, ora in episcopio, e la Madonna di Montserrat (fig. 8), nella chiesa della Madonna del Casale.