Il libro nel museo. Ipotesi e metodologia di una raccolta rappresentativa della diffusione libraria nella Chiesa del Capo di Leuca

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Chissà quali pensieri esistenziali sarebbero balenati nella mente del povero Guglielmo da Baskerville, quando comprese che la biblioteca del vecchio monastero da lì a poco sarebbe stata inghiottita dalle fiamme. Cosa salvare? Perché un libro è meritevole rispetto ad un altro? Per passare poi a domande più pratiche; quanto tempo mi rimane a disposizione e quanto spazio mi occorre? Anche selezionare i libri da esporre in un museo potrebbe risultare un compito “esistenzialmente” difficile. Ma fortunatamente viviamo tempi e situazioni più serene, si direbbe, rispetto a quel medioevo immaginario illustrato da Umberto Eco ne Il nome della rosa.

La selezione estrapolata dal fondo antico della Biblioteca diocesana si è basata su un’ipotesi metodologica incentrata principalmente su quattro fondamenti: territorialità, pregio, diffusione, storicità. Il fil rouge che unisce questi elementi è la qualità artistica, che nel mondo tipografico è dettata dal materiale, dall’epoca, dalla sensibilità dello stampatore e dall’empatia dell’intera equipe dell’officina. Inoltre la selezione è stata effettuata su quei manufatti compatibilmente adatti all’esposizione museale, già oggetto di restauro conservativo o di manutenzione straordinaria.

Seguendo il fondamento della territorialità, in apertura si è voluto celebrare la tipografia salentina, che trova nella persona di Pietro Micheli l’anello di congiunzione tra lo spirito artistico del barocco leccese e la tradizione tipografica seicentesca. Nei tomi stampati nella sua officina avviene il miracolo alchemico, l’osmosi dell’architettura tufacea che si diffonde nell’architettura cartacea. Citando Laporta, nel lavoro di Micheli si porta alle estreme conseguenze il parallelo «fra chiesa e libro, dove il prospetto della prima si riduce per essere ospitato nella pagina del secondo e la ripartizione degli spazi interni, cadenzata dagli altari delle cappelle laterali che a loro volta emulano il portale, diviene nel libro la divisione per capitoli». Sicuramente un genio artistico del Seicento leccese, messo già in luce dall’instancabile lavoro di Gianfranco Scrimieri.

Per la selezione museale, si propone la raccolta di commenti tomistici compilata dal domenicano leccese Dionigi Leone. Nel frontespizio calcografico del secondo volume, si può ammirare l’incisione prodotta da Jacques Thouvenot. La mise-en-page è una celebrazione della Lecce seicentesca, della “città-chiesa” ideata dal vescovo Luigi Pappacoda; e nella macchina iconografica non viene tralasciato nessuno. In primis, l’arme vescovile che domina il palco; l’autore domenicano, che va a rappresentare il grande impegno cultuale e culturale degli ordini religiosi leccesi. Poi da fondale c’è il barocco, il quale scorre tra le suntuose decorazioni e i movimenti tortili delle colonne battute; esse chiamano le chiese del Rosario, di sant’Irene o del Gesù. Parlano di Lecce.
Nella rappresentazione scenica si ritrova anche la sensibilità e la curiosità umana di due giramondo, quali erano il Micheli, originario della Borgogna, ed il Thouvenot detto “il lotaringio”, proveniente dalla Lorena. Un dato interessante lo si potrebbe individuare nell’elefante bianco indiano, il quale fa capolino dietro le spalle dell’allegoria della Fede: una scelta decisamente esotica. Tra l’altro, è sensazionale sapere che nello stesso anno in cui il Micheli dava alle stampe il volume del domenicano Dionigi Leone, il Bernini, maestro del barocco italiano, disegnava l’obelisco per il piazzale della chiesa romana dei frati Predicatori di S. Maria della Minerva, ispirandosi ad un’incisione impressa nella celebre opera aldina dell’Hypnerotomachia Poliphili; anche lì fa sfoggio come base l’elefante bianco indiano, simbolo della solidità della fede cattolica: ottima coniugazione con l’ordine dei frati di s. Domenico.

ità e lo spirito.In Biblioteca inoltre si conservano altre importanti testimonianze riconducibili alla vita del Micheli, in particolare due opere stampate a Trani nel 1624: periodo in cui “il borgognone” lavorava come «allievo-socio» di Lorenzo Valeri. Per notizia, infine, non si può tralasciare il celebre libro Historia della Madonna Santissima di Leuche del Pirreca, stampato dal Micheli a Lecce nel 1643, pezzo forte per la storia della diocesi di Ugento – S. Maria di Leuca.

Una serie di opere tipografiche di pregio sono rappresentate da una collezione di cinquecentine stampate a Parigi e a Venezia. Sono di scena i celebri torchi della famiglia Giunti, in questo caso quella guidata dagli eredi di Lucantonio, che avevano fatto di Venezia un loro importante centro economico. Perizia, equilibrio, richiami al gusto antiquario ma anche verve e perfezionismo. Memorie tipografiche cariche di allusioni, emblemi ermetici, un Mutus liber in cui anche l’occhio attento può perdersi nel labirinto criptico delle rappresentazioni.
Libri ad ampia diffusione all’interno del mondo ecclesiastico sono le opere di natura giuridico-ecclesiastica e teologica.

Ne sono degni rappresentanti il Decretum Gratiani stampato nelle officine parigine della più che celebre Compagnie du Grand navire, ed il commento alla Summa di san Tommaso d’Aquino del teologo gesuita Gabriel Vázquez, impresso per i tipi del veneziano Evangelista Deuchino: altro nome storico dell’epopea tipografica italiana.

Il collegamento con la storia di Ugento è dato dai volumi di Agostino Barbosa, illustre teologo giurista lusitano che per pochissimi mesi ha retto l’episcopato ugentino (5 aprile – 19 novembre 1649). Un intelletto profondo e precoce. Infatti, si pensi che all’ età di soli 22 anni si vide pubblicato il suo Dictionarium lusitanico-latinum, stampato nel 1611 a Braga per opera di Fructuoso Lourenço de Basto. Il presule, le cui opere letterarie sono diffusissime nel mondo cattolico, riposa nella cattedrale di Ugento dove una lapide, rinnovata nel 1883 dal vescovo Maselli, ne ricorda l’illustre figura.
Piace concludere con il Messale romano di Pio V stampato a Roma nel 1794; proviene dalla Cattedrale di Ugento ed è impreziosito da una coeva legatura argentea prodotta a Napoli.

Un ultimo accenno meriterebbe il rapporto tra libro e pittura, una connivenza che nei dipinti vescovili conservati nel museo e nell’episcopio di Ugento offre spunti interessanti. In alcune tele, all’oggetto libro, quale ornamento o attributo, si aggiunge un valore specifico intellettuale, frutto di una chiara volontà della committenza. Si tratta di titoli letterari dipinti sui dorsi dei libri, che spesso fanno da fondale in alcuni ritratti di presuli ugentini. Un veloce flash, per rimandare poi ad uno studio più minuzioso, potrebbe illuminare il caso più rappresentativo: il ritratto del vescovo cappuccino mons. Angelico de Mestria. Come si può notare nella libreria stagliata sullo sfondo, nel primo palchetto sono raccolti sei volumi numerati di «P. Coccaglio / Teolo.», un probabile riferimento ai sei libri Tentamina theologico-scholastica del teologo cappuccino padre Viatore da Coccaglio, stampati in diverse edizioni sul finire del sec. XVIII e ampiamente diffusi nelle biblioteche ecclesiastiche. Nel secondo palchetto, sempre nell’identico motivo decorativo, sono invece presentati sette volumi numerati della «Sacra / Scrittura». Rimane ancora da sciogliere il titolo e l’autore disposti sul dorso del volume che fa scena sulla scrivania, difficilmente leggibile a causa della patinatura antica che vela la superficie.

Il fenomeno artistico fa comprendere come il libro, a distanza di secoli, sia perfettamente in grado di svolgere il suo ruolo culturale e storico. Persino, come in questo caso, perdendo la sua forma tridimensionale per entrare in una nuova conformazione bidimensionale. Un “granaio” sorprendente, che nei secoli del tempo conserva inalterato l’alimento essenziale per sfamare l’umanità e lo spirito.